Le chiese, le confraternite, la devozione popolare.
Racconigi ospita chiese che sono grandi espressioni di architettura, perlopiù barocca, o importanti contenitori di opere di eccellenti artisti del ‘7 e dell’800, i secoli d’oro della storia cittadina.
È una stagione artistica molto felice, alla quale danno grandi contributi architetti come Francesco Gallo, Carlo Castelli e, più parzialmente, Bernardo Antonio Vittone; il pittore Claudio Francesco Beaumont ed artisti della sua schiera quali Michele Antonio Milocco e Vittorio Blanchery; scultori come Stefano Maria Clementi, Giuseppe Plura, Giovanni Battista Bernero.
Negli affreschi si impone, per mano di artisti come i fratelli Pozzo, il modenese Giuseppe Dallamano ed il racconigese Francesco Cuniberti, il gusto per il quadraturismo, la cosiddetta pittura dell’inganno che si basa su finte architetture e suggestivi trompe l’oeil.
Si tratta talvolta di costruzioni grandiose, come nel caso delle Parrocchiali di San Giovanni Battista e di Santa Maria Maggiore, quasi costruite mattone su mattone dai cittadini; e della chiesa del convento-seminario dei padri predicatori che è popolarmente chiamata San Domenico. In altri casi, non sono tanto le dimensioni a sorprendere, quanto il corredo artistico, e qui il pensiero va subito alla Madonna della Porta ed ai suoi splendidi stucchi. Decisamente singolare è poi il mix di originalità devozionale e di “regal benevolenza” che sono all’origine del Santuario della Beata Vergine delle Grazie, il piccolo Pantheon. Mentre, ospitando oggi la Biblioteca Civica, il Convento di Santa Chiara sembra voler ancora mantenere la sua secolare vocazione di stanza segreta dello spirito. Tuttavia, c’è un aspetto della religiosità racconigese che va oltre i pur importanti ambiti della storia dell’arte, ed è costituito dal contesto in cui molti edifici sacri hanno preso forma.
Qui si entra davvero nella dimensione del romanzo popolare, di quella piccola cronaca quotidiana che si sprigiona dal “senso” anziché dall’estetica.
Sono le storie delle donne, degli uomini e dei bambini che partecipavano alla vita delle Confraternite e delle Compagnie e che, accanto alle opere di culto, provvedevano ai bisogni materiali della popolazione dando da mangiare agli affamati, vestendo gli ignudi, visitando i carcerati e gli infermi, alloggiando i pellegrini. Era una sorta di welfare, spontaneamente elargito, che è ancora oggi importante saper cogliere quando si calcano le navate o anche semplicemente si ammirano le strutture esterne di San Giovanni Decollato (sede dei Battuti Neri), di Santa Croce (sede dei Battuti Bianchi) o del Nome di Gesù (sede della compagnia omonima). Allo stesso modo, arrivando alla semplicissima chiesa del convento-seminario San Francesco non si può non andare con il pensiero agli anni terribili delle grandi pestilenze che videro in quei frati la prima e più coraggiosa espressione di una protezione civile ante litteram, mentre la povera gente implorava San Rocco e la Beata Caterina recitando il libera nos dal morbo che troppe volte nasceva dalla guerra e dalla fame.
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