Palazzi, setifici, ospedali.
Distinzione senza ostentazione: è questa la dimensione “laica” di Racconigi. Forse, in una città così frequentata dai re, ci si attenderebbe di trovare, tutt’intorno al castello, una cortina di sontuosi palazzi nobiliari. Invece no: Racconigi, grande centro di produzione della seta, è una città prevalentemente borghese, dove anche le residenze più importanti presentano all’esterno quella caratteristica che, nel corso del ‘700, si voleva avessero le cosiddette fabbriche magnifiche: semplici, solide, “pacatamente ornate”, ma tali da procurare diletto e “meraviglia ai passeggeri”.
Carlo Maria Franzero, giornalista e scrittore discendente da una delle più importanti dinastie industriali locali, nel suo romanzo La casa dei sogni (ambientato ad inizio ‘900) ha scritto che questa “austerità” piena di una “particolare dignità” era come un lascito ereditario. Perché a Racconigi “i palazzi delle vecchie famiglie erano inalterati dalla metà del Settecento, con le facciate adorne di stucchi e i bei balconi di ferro battuto”; con quella caratteristica, che il visitatore più attento coglie ancora oggi, che persino le molte chiese, sparse per tutto il paese, sembravano appartenere a quelle grandi case, come cappelle private.
Senza dimenticare i portici che, sebbene qua e là bassi e stretti, possedevano anch’essi “un’aria di distinzione” e profumavano dei profumi delle botteghe. In questa città operosa, le strutture assistenziali giocarono un ruolo importante: il grande Ospedale di Carità; l’immenso Ricovero di Mendicità (poi Collegio militare e quindi Manicomio Provinciale). La tettoja sotto la quale tenere il mercato dei bozzoli e delle uve.
La Società Operaia di Mutuo Soccorso. L’Asilo d’infanzia. E naturalmente il Palazzo di Città, costruito mentre re Carlo Alberto ampliava ed ammodernava il castello e che doveva costituire come una “quinta”, pensata per chiudere la grande e nuova piazza che andava prendendo forma e proiettarla verso il cannocchiale del maestoso viale dei platani.
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